Mentre il dentista mi faceva deliberatamente male in bocca, avevo le mani intrecciate. Strette. In mezzo alle cosce. Serrate.
Pensavo ossessivamente a una canzone dei Coma_Cose (così, per una competizione di malesseri) pur di non sentire il dolore e non dargli soddisfazione. Forse solo dalle sopracciglia intuiva il mio fastidio, mentre mi schizzava l’acqua in faccia, sugli occhi, e nemmeno mi asciugava, mentre mi faceva riempire la bocca di bava e mi scolava lungo il collo, e non me l’aspirava.
“Girati verso di me”. E una goccia di acqua, tartaro e saliva mi scendeva dall’occhio, simile a una lacrima. Ho sperato non la fraintendesse per pianto.
Dottò, io non piango.
Col tubicino tortile cercava la piega giusta per realizzare l’uncino adeguato, e me lo conficcava sotto la lingua e il frenulo sembrava bucato da uno spino.
Ho alzato una mano, in silenzio. L’ho spostato al lato della gengiva, dov’era più adeguato alla sua funzione. Lo ha riposizionato altre quattrocento volte. Tutte sbagliando.
Mi allargava con lo specchietto freddo e le mani calde. Il caldo umano separato dal lattice dei guanti, odore di professionalità, quel caldo umano che non tocca il caldo umano della tua bocca. Un caldo come il tuo, separato dall’azzurro, la sua mano non si bagna del mio interno, ma lo sente, lo sento. La mano in bocca. Le dita. Toccami.
Aprimi.
Non sono masochista.
Me lo sono chiesto spesso. No, non sono masochista. Non mi piace il dolore.
Mi scava tra un dente e l’altro, temo che me ne romperà uno. Non è giustificata tutta questa foga, e io sento grattare, tirare, estirpare come da un muro con uno scalpellino pezzi di roccia.
Ho temuto che mi volesse deturpare.
Gli avevo detto di avere dei denti molto sani, ecco perché erano tre anni che non andavo da un dentista. E lui voleva forse dimostrarmi che non era invece così? Voleva dimostrarmi che dei miei propri denti ne sapeva più di me? Voleva prendermi la bocca a martellate affinché avessi per sempre bisogno di cure costose e mi passasse perciò la voglia di snobbare la categoria?
Ma quando gli ultrasuoni entrano in risonanza con la parte sensibile, quel millimetro sotto il colletto dentale, quando si avvicinano troppo all’osso e un suono orribile inizia a trapanare il cervello, ecco che non posso trattenere un gemito.
Stringo più forte le mani, me ne accorgo solo dopo, ce le ho proprio infilate lì, i polsi contro l’osso pubico.
Piego le ginocchia come per portarle più vicine al petto. Vorrei raccogliermi in questo dolore acuto che mi avviene in bocca. In alto a destra, un fulmine ghiacciato ai lati dei molari.
Ma mi viene in mente l’insegnamento di mia madre: fin da piccola mi ha detto che il dolore fa bene. Più fa male, più fa bene. Devi provare quasi piacere quando la pomata brucia, il calore insiste, l’ago entra, il massaggio duole. Ecco. Sta tirando via tutto il male. Questo è solo il passaggio, il Purgatorio, la redenzione necessaria. Eleva il tuo spirito, stai profondamente in questo dolore fisico e fattelo piacere. Resisti se non sai amarlo, ma resisti. Imparerai.
Imparerai ben presto, e il dolore diventerà l’unica tua ragione.
Ben presto un ago gratis, che buchi qualche lembo di carne inutile, un ago gratis, cannula infilata nel braccio con la scusa della generosità.
Ben presto resisterai ai tuoi dolori cronici senza prendere mai un antinfiammatorio perché puoi, tu puoi, e il martirio innalza.
Perché i mali sono una prova e tu devi mostrare chi è il più forte.
L’insegnamento di mio padre: stringi i denti e vai avanti. Non piangere per nessuna ragione al mondo.
Imparerai ben presto.
Ben presto le lacrime saranno solo un vezzo. Non darai soddisfazione al dottore aguzzino. Non darai soddisfazione al superdotato che ti vuole stupire, non darai soddisfazione al presuntuoso che ti vuole violentare.
“Tutto bene?” chiede il dentista. Sorrido – per quanto possibile – in una mossa grottesca coi denti rigati di sangue e gli attrezzi poggiati in bocca. Annuisco sbattendo le ciglia.
Ma tu continua a lavorare, prego! E io a cantare i Coma_Cose, non può essere che si tratti di un dolore irresistibile.
Irresistibile è quel bruciore di quando qualcosa va storto, stava per entrare e poi non entra più. Irresistibile è quel bruciore che ti paralizza e stringi le natiche, allunghi le cosce e nulla più si può avvicinare. Non ce la fai neanche a parlare, prendi fiato, implori di aspettare e quelli aspettano ma minimizzano “Dai, non farla tanto lunga che non è niente! Aprilo, vieni qua.”.
Non sarà quel dolore irresistibile, né come se ti stessero tagliando in due. In fondo non sta che pulendo un pezzo d’osso, la gengiva è solo un dettaglio, è anche nel suo interesse fare qualcosa che ti renda felice e non infelice.
Fidati.
Tu non vedi quello che sta accadendo nella tua bocca, ma fidati! Fidati che è la stessa cosa di quando non vedi la cinghia che ti colpisce la schiena, fidati! Perché tanto ti puoi solo fidare, ti puoi solo fidare e non ti faranno (troppo) male.
Aprimi, spalancami, batti, colpisci, graffia, togli e metti cose, io non lo voglio neanche sapere, solo, sopporterò e canterò i Coma_Cose. “E se magari l’autunno è…soltanto un ideale da difendere come i tuoi 501 rotti sui ginocchi, ricorda queste notti, siamo come lentiggini impermeabili alla pioggia. Ed alle lacrime“. Stringerò i pugni e le cosce, qualcosa là sotto si anima come se fossero due fatti collegati: l’igiene dentale e il sesso. Come se fosse naturale provare una specie di eccitazione mentre qualcuno ti fa male e ha il completo dominio di te.
Sei sottoposto, sbavato. Hai gli occhi chiusi. Gemi.
Non c’è nulla di correlato tra i tuoi denti e la tua fica. È solo che alcune cose nella vita si somigliano. E tu ci fai molta confusione.
Stringi le mani contro il tuo sesso bollente.
Vorresti che lui capisse e ti lasciasse fare.
Spegne gli attrezzi. Ti asciuga la faccia con noncuranza, come si pulisce frettolosamente la superficie di un tavolino sporco.
Lo ringrazi per questo, come se si fosse trattato di una carezza dopo un’eiaculazione dritta negli occhi.
Ti pulisce la faccia mentre sei distesa a testa in giù e lui è sopra di te.
Stringi le mani contro il tuo sesso bollente.
Vorresti che lui capisse e ti lasciasse fare.
Ma poi lo sai, è tutto fuori luogo.
Non sono masochista.
Me lo sono chiesto spesso. No, non sono masochista. Non mi piace il dolore.
Non mi piace il dolore.
Qualcosa mi piace, ma non è il dolore, e non so cos’è.
(Credits: “Still Life”, 2012 – David Lachapelle)